18 e 19 Marzo – tradizione ed enogastronomia per onorare San Giuseppe
Giurdignano vanta la tradizione più antica del rito delle Tavole di San Giuseppe diffusa poi nei paesi limitrofi di Uggiano La Chiesa, Casamassella, Cocumola, Minervino di Lecce, Giuggianello e San Cassiano. L’usanza cerimoniale rievoca i grandi festeggiamenti religiosi medievali.
Nei giorni che precedono la festa, tutto il paese è coinvolto da questa sacra atmosfera di devozione e folklore. Un’atmosfera generata dall’incontro della cultura bizantina, secondo la quale i monaci basiliani pervasi da grande spirito di carità e di amore verso la povera gente del luogo, devastata dalla malattia e dalla miseria, offrivano protezione e dei pasti caldi.
Alcuni studiosi di tradizioni popolari suppongono, invece, che le origini di questa tradizione sia legata alla benevolenza che legava il signore feudale ai “suoi” poveri; pare, infatti, che queste tavole fossero apparecchiate nelle piazze e offerte dal signore feudale alle persone povere e bisognose, perché una volta l’anno misurassero la sua benevolenza.
Le tavole coperte lenzuola bianche ricamate, sono imbandite nella stanza più grande della casa, con al centro l’immagine del santo, circondata da fiori e ceri accesi. La famiglia che fa il voto dell’offerta della tavola di San Giuseppe deve poi onorarlo nel tempo, di generazione in generazione.
La tavola principale lunga 40 m è quella allestita nella Piazza Principale del Paese; a farle da cornice le “Tavole” che troviamo camminando per i vicoli e le corti del Paese; se ne contano fino a cento.
Queste tavole sono realizzate con diverse pietanze che vanno dai lampascioni alle “rape”, dai “vermiceddhri” (tipo di pasta con ceci) al pesce fritto e lo stoccafisso, dalle pittule alle cartellate e “purciddhruzzi”, dal pane a forma di grossa ciambella ai finocchi e alle arance.
Alcuni di questi cibi hanno un valore simbolico e rituale: la pasta e ceci per i colori bianco e giallo rappresenta il fiore narciso, il pesce fritto il Cristo, le cartellate le fasce di Gesù Bambino, mentre lo stoccafisso, un tempo, era il cibo delle grandi occasioni festive.
Il tutto è consumato a mezzogiorno del 19 marzo dai cosiddetti “santi” impersonati da amici o parenti delle famiglie che decidono di “fare la tavola”. I partecipanti vanno da un numero minimo di tre (San Giuseppe, Gesù Bambino e la Madonna) a un numero massimo di tredici, sempre comunque di numero dispari.
Per la tavola da cinque elementi, Sant’Anna, e San Gioacchino; a quella da sette Sant’Elisabetta e San Giovanni; a quella da nove San Zaccaria e Santa Maria Maddalena; da undici Santa Caterina e San Tommaso; infine, a quella da tredici, San Pietro e Sant’Agnese.
I ‘’santi’’ dopo aver ricevuto la Comunione in Chiesa e la confessione in rispetto della celebrazione, si dispongono intorno a San Giuseppe che è a capo tavola ed impugna un bastone foderato di carta con un mazzolino di fiori legato in cima pugno.
Tutto avviene recitando il Rosario e ad ogni portata si intercala la litania “San Giuseppe prega per noi” perché il Santo accolga e soddisfi le richieste della devota.
Il Santo Patriarca dà inizio al pranzo battendo un colpo di bastone sul pavimento, e segnala la fine del pasto con due colpi di forchetta sul piatto, per consentire la recitazione della preghiera successiva. Così per gli altri, perché è obbligatorio assaggiare tutto.
Per finire, la devota consegna ai rispettivi Santi grossi pani vuoti al centro, ognuno contrassegnato da un simbolo diverso; per San Giuseppe il bastone, per Gesù Cristo la Trinità e per la madonna la Corona del Rosario.
Un evento religioso che non ha eguali in tutto il territorio italiano, che tiene alla valorizzazione della nostra terra e la riscoperta semplice delle nostre radici culturali.